La struttura sociale italiana

La previdenza integrativa è diventata un argomento di estrema importanza in conseguenza della progressiva evoluzione della struttura sociale italiana. 

Negli ultimi anni si sono verificati fenomeni sociali che hanno modificato l’equilibrio del sistema pensionistico: in particolare, si è verificato un progressivo aumento della vita media e una contemporanea riduzione delle nascite, che significa meno popolazione attiva in futuro, quindi meno lavoratori che versano contributi previdenziali e meno entrate per le casse di previdenza pubblica.

I più importanti istituti di analisi demografica disegnano un’Italia che nell’arco dei prossimi decenni vedrà capovolgere i rapporti tra giovani, popolazione attiva e pensionati.
 

Quanta pensione serve

L’allungamento della vita media registrato negli ultimi trenta anni si traduce in un maggior numero di anni di rendita pensionistica che vengono percepiti da ogni pensionato, quindi in una maggior spesa previdenziale e maggiori uscite per le casse di previdenza pubblica.
Soprattutto questo secondo elemento tende ad avere progressivamente un peso molto importante: secondo molti studiosi, è veramente vicino il giorno in cui ognuno di noi passerà in pensione tanti anni quanti ne ha passati lavorando.

Questa tabella mostra un esempio dell’allungamento della “durata della pensione” per un uomo italiano in base alle diverse rilevazioni statistiche pubbliche. Se negli anni Settanta mediamente si andava in pensione a 65 anni con una attesa di vita media di oltre 13, oggi si va mediamente in pensione a 60 anni e questo comporta mediamente più di 26 anni di vita in pensione.

Per questi motivi è lecito attendersi una progressiva riduzione del cosiddetto “tasso di
sostituzione” cioè del rapporto tra l’ultimo stipendio e la pensione pubblica percepita; una riduzione che sarà progressiva e che avrà conseguenze pesanti soprattutto per chi è oggi giovane e ha di fronte a sé 25/30 anni di lavoro. Fonti pubbliche stimano che un dipendente che andrà in pensione nel 2030, a 60 anni di età e con 35 anni di contributi versati potrebbe attendersi una copertura pensionistica pubblica vicina al 52% dell’ultimo reddito percepito in fase lavorativa (vedi tabella). Tale percentuale scenderebbe sotto il 35,5 per artigiani e commercianti.
 

Cosa fare

Ecco perché è importante fare una valutazione serena e responsabile della propria situazione previdenziale attesa e desiderata: più il “desiderato” è lontano da ciò che è “atteso” e più è necessario dedicare attenzione e valutare interventi a integrazione della rendita pensionistica pubblica.